I materiali per la realizzazione degli imballaggi hanno acquisito un’importanza rilevante con lo scoppio della pandemia.
Non che prima non se ne parlasse, sia chiaro. Ma è evidente come l’avvento del Covid abbia ribadito la necessità di prendersi cura dell’ambiente, adottando soluzioni alternative con il minor impatto possibile.
Anche in tempi non sospetti, il motto “riduci, riusa e ricicla” è stato a lungo ribadito, tanto che ormai tutti ne siamo perfettamente consapevoli e cerchiamo, per quanto possibile, di metterlo in pratica.
Tuttavia, la salute del nostro pianeta è gravemente compromessa da decenni di uso indiscriminato e per certi versi improprio di alcuni materiali, come la plastica, uso che ha pregiudicato l’intero ecosistema arrivando a minacciare anche la nostra salute.
Alcuni produttori hanno compreso tempestivamente la gravità del problema, investendo in soluzioni a ridotto impatto ambientale. Anche i consumatori sono stati chiamati a dare il proprio contributo: si incentivano acquisti più sostenibili, lo spreco è fortemente scoraggiato e la raccolta differenziata è ormai una realtà consolidata.
Ma questo non è abbastanza. Sebbene si rileva un discreto impegno per la salvaguardia del pianeta, vige ancora ancora molta confusione in merito ai materiali impiegati per la produzione di packaging eco-friendly e sul loro smaltimento.
Facciamo un po’ di chiarezza.
I diversi gradi di sostenibilità
Addentriamoci nel mondo della sostenibilità e diamo qualche delucidazione, distinguendo la natura dei materiali che normalmente compongono i prodotti definiti “ecosostenibili”.
Partiamo dalla definizione di riciclabile che forse, tra tutte, e quella più soggetta a fraintendimenti.
Un materiale è definito riciclabile quando, dopo il suo utilizzo, può essere riutilizzato in altro modo, grazie ad opportuni processi di trasformazione. Ne sono un esempio il vetro, la carta e il cartone, l’alluminio, la plastica e il legno. I prodotti definiti “riciclabili” sono quindi realizzati utilizzando materie prime “vergini” – quindi mai adoperate prima – o che contengono una certa parte di materiale riciclato post-consumo.
Spesso questo termine viene confuso – se non utilizzato addirittura come sinonimo – con riciclato. Ma le differenze sono notevoli: un rifiuto riciclato è parzialmente o interamente composto da materiali a cui è stata data una seconda vita. Le materie da riciclo possono infatti essere gli scarti della natura, derivanti da opere di pulizia e smaltimento ecosolidale o essere anche il risultato del riutilizzo della plastica.
E biodegradabile?
Biodegradabile è il materiale che si dissolve negli elementi chimici che li compongono grazie all’azione di alcuni microorganismi, dalla luce solare o di altri agenti atmosferici in condizioni naturali. Perché un composto possa essere considerato biodegradabile è necessario che l’elemento venga assorbito completamente nel terreno, in tempi e modi diversi a seconda del materiale in questione.
Si differisce notevolmente dalla definizione di compostabile: un materiale che, dopo essersi dissolto, diventa compost (risultato di un processo aerobico di biostabilizzazione che porta alla formazione di una sostanza “umificata” paragonabili all’humus) e dunque può essere utilizzato come concime per arricchire il terreno. Inoltre, il materiale deve essere in grado di decomporsi in frammenti di dimensioni inferiori a 2 mm, libero da sostanze eco-tossiche e povero di metalli pesanti e composti fluorurati. Il compostaggio è un’ottima alternativa per evitare lo smaltimento dei residui in discariche o ricorrere a inceneritori, molto costosi e inquinanti. Il compostaggio domestico, inoltre, offre anche la possibilità di una riduzione della tassa comunale sui rifiuti.
Quindi un rifiuto, per essere definito compostabile deve essere inevitabilmente biodegradabile. Al contrario, un materiale biodegradabile non è necessariamente compostabile perché, per esempio, potrebbe non decomporsi entro i tempi stabiliti, ossia massimo 3 mesi.
Perchè il tubetto in alluminio Favia è una scelta sostenibile per il tuo packaging?

Un packaging di alluminio è la scelta ideale per i produttori che vogliono fare della sostenibilità il proprio punto di forza.
L’alluminio è naturalmente presente nell’ambiente come bauxite e occupa la terza posizione come materiale più diffuso sulla terra dopo l’ossigeno e il silicio. Ma non solo.
La produzione di alluminio da materiale riciclato richiede il 95% di energia in meno rispetto alla produzione da materia prima, oltre al fatto che può essere riciclato infinite volte a costi ridotti e con procedure a ridotto impatto ambientale.
Ma noi di Favia non ci siamo fermati qui.
In un tubetto di alluminio, l’unico punto debole dal punto di vista della sostenibilità è rappresentato dal tappo di chiusura, generalmente fatto di plastica.
Certo, anche la plastica è riciclabile; tuttavia, il suo processo di riciclo non è paragonabile a quello dell’alluminio in termini di impatto sull’ambiente.
Per venire dunque incontro alla crescente richiesta di packaging 100% sostenibili, abbiamo ideato ToBeNatural, un tubetto di alluminio con un tappo realizzato con materiali compostabili, che conserva a lungo la propria integrità, ma una volta terminato il suo ciclo d’utilizzo ha la capacità di degradarsi completamente.
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