Anno nuovo, nuove regole: il 1 gennaio 2023 è ufficialmente diventata obbligatoria anche in Italia l’etichettatura ambientale degli imballaggi. Un cambiamento che apre nuovi interessanti scenari per il settore packaging e chi ci lavora, ma anche per tutte le realtà della GDO. 

Cerchiamo di analizzare meglio di cosa si tratta e capire quali potrebbero essere le sue ricadute di mercato.

Etichettatura ambientale degli imballaggi: che cos’é?

Consiste, concretamente, nell’obbligo di applicare un’ etichetta a tutti gli imballaggi che rechi informazioni utili a comprenderne l’impatto ambientale e facilitarne la raccolta, il riutilizzo, il recupero o il riciclo. L’etichetta riguarda tutti gli imballaggi, quindi anche il cosiddetto packaging secondario ad esempio, le cardbox di creme o dentifrici, e il packaging terziario (quello da spedizione, per intenderci; un dettaglio non trascurabile, soprattutto per i grandi e-commerce). Non solo: nel caso un singolo prodotto sia composto da più parti separate, ciascuna con il suo packaging (pensiamo ai mobili da montare a domicilio o a una scatola di merendine confezionate) le informazioni dovranno essere riferite a ciascun componente.

Con “etichetta” non si intende però necessariamente un supporto fisico attaccato al prodotto, ma uno spazio informativo adeguato che può essere incluso anche sull’imballo principale. Proprio nell’ottica di fornire tutte le informazioni necessarie, senza limitazioni di spazio, la legge permette anche utilizzare allo scopo un codice scansionabile da mobile, come un QRCode, che rimanda a una fonte di approfondimento digitale. Questo anche per evitare  “l’effetto geroglifico” delle etichette da bucato. Ammettiamolo: le avete mai davvero consultate prima di mettere una maglietta in lavatrice?

Etichettatura ambientale degli imballaggi: esempi

Facciamo un esempio pratico: una crema mani contenuta in un tubetto in alluminio, a sua volta conservato in una scatola di cartone. Avremo la necessità di informare il consumatore a proposito di sue packaging diversi: il tubetto in alluminio e la cardbox. L’ “etichetta ambientale” (anche nella sua versione virtuale) dovrà contenere le seguenti informazioni: 

  • 1- Identificazione del materiale: non basta indicarlo in modo generico (es. plastica, vetro o alluminio) va classificato secondo un preciso codice alfanumerico (come in Decisione 97/129/CE) integrabile norme UNI EN ISO 1043-1:2002 per gli imballaggi in plastica oppure CEN/CR 14311:2002 che riguarda sia gli imballaggi in plastica sia quelli in alluminio e acciaio). Le diverse plastiche in circolazione variano di molto per riciclabilità e impatto sull’ambiente: è quindi necessario essere specifici. È consigliato anche l’utilizzo di icone, soprattutto se il destinatario del prodotto è il consumatore finale. Questo punto è obbligatorio per tutti i tipi di imballaggio e per tutte le loro destinazioni d’uso. 
  • 2 – Istruzioni sullo smaltimento del packaging: Se l’imballaggio è destinato al consumatore finale, l’etichetta deve descrivere tutte le informazioni necessarie sul suo smaltimento, ad esempio dove va gettato (bidone dell’ umido? plastica? carta?) o dove va conferito. Nel caso di materiali multicomponente (es. i tubetti in laminato o metalloplastica) andranno indicati tutti i materiali utilizzati. Nel caso sia possibile per il consumatore finale separarli (es. packaging per alimenti con componenti in cartone e in plastica) vanno inserite le istruzioni su come separarli e dove gettare ogni componente, (in Italia accompagnati dall’immancabile frase “Verifica le disposizioni del tuo Comune”). È inoltre possibile associare a queste informazioni simboli grafici atti a far passare più efficacemente le informazioni (es. il triangolo di frecce del riciclo, il simbolo ok compost e altri). Attenzione però: non vanno scelti “creativamente”, è necessario riferirsi a simboli  elaborati dagli Enti di Normazione internazionali (ISO), europei (CEN) o nazionali (come l’UNI italiano, il DIN tedesco o l’AFNOR francese).

Etichettatura ambientale: imballaggi B2B

Nel punto 2 abbiamo evidenziato che l’etichetta deve obbligatoriamente contenere le istruzioni per lo smaltimento “se l’imballaggio è destinato al consumatore finale”.

E se non lo é? Cosa accade nel caso dei mercati B2B? Supponiamo che un produttore di tubetti in alluminio, come noi, debba inviare una partita di tubetti vuoti a un’azienda cliente. In questo caso l’etichetta deve indicare solo le informazioni del punto 1, ovvero quelle relative ai materiali di cui è composto il packaging. Tutte le altre informazioni sono su base volontaria (anche se la normativa incoraggia comunque a fornire quante più informazioni possibili). Per quanto riguarda gli imballaggi terziari (ovvero gli scatoloni di cartone che contengono i tubetti e l’involucro in plastica che li protegge) nel B2B l’indicazione del materiale può essere confinata ai documenti di trasporto delle merci. 

Resta però un nodo da sciogliere: quello stesso tubetto che lascia vuoto i nostri stabilimenti, una volta riempito, è comunque destinato ad arrivare nelle mani del consumatore finale. Quindi, le informazioni sul corretto smaltimento dell’imballaggio andranno per forza aggiunte. A chi spetta farlo? Al produttore dell’imballaggio o all’azienda? Per fortuna su questo punto la normativa è molto chiara: spetta all’azienda informare adeguatamente il consumatore finale. Questo perché il contenuto può influire in modo decisivo sul corretto smaltimento dell’imballo. Si pensi ad esempio alla nota “carta contaminata da alimenti”, che non può essere riciclata con la carta. 

È tuttavia fondamentale una comunicazione chiara e trasparente con l’azienda cliente: per questo, ben prima dell’entrata in vigore della normativa, abbiamo iniziato ad allegare alle nostre spedizioni anche tutti i documenti informativi sui materiali utilizzati.

Etichettatura ambientale degli imballaggi: la normativa

Vediamo qualche riferimento legislativo, utile per eventuali approfondimenti. 

Alla base della nuova etichettatura ambientale degli imballaggi in Europa c’è, ovviamente, l’Unione Europea, che negli ultimi anni ha messo il mondo degli imballaggi sotto la sua lente d’ingrandimento. Sul sito della Commissione Europea si legge che “L’attuale direttiva sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio, introdotta nel 1994, non è riuscita a ridimensionare gli aspetti della produzione di imballaggi che hanno un impatto negativo sull’ambiente, tra cui il sovraimballaggio superfluo, la quantità di materiali non riciclabili in crescita nella composizione degli imballaggi, l’etichettatura ambigua, che rende difficile ai consumatori separare i rifiuti e l’uso ancora molto scarso di materiale riciclato negli imballaggi di plastica, che comporta un’enorme spreco di risorse preziose”.

Con queste premesse sono nate la Direttiva UE 2018/851 sui rifiuti e la Direttiva UE 2018/852 sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio. 

In Italia, il testo di riferimento è quello del Decreto Legislativo 116/2020 (D.Lgs 116/2020), con cui vengono apportate modifiche al Codice dell’Ambiente e al Testo Unico Ambientale (D.L.vo 152/2006 – in particolare al comma 5 dell’art. 219) relativamente ai “criteri informatori dell’attività di gestione dei rifiuti di imballaggio”.

L’Italia non è la prima ad adottare la normativa europea: la Francia ha infatti applicato le direttive nel settembre 2022. Questo significa che tutti i prodotti distribuiti in territorio francese (e da questo mese, in quello italiano) devono già seguire la nuova normativa, che verrà gradualmente introdotta in tutti i Paesi UE. 

Etichettatura ambientale: ma era davvero necessaria?

L’impatto del packaging sull’ambiente (in particolare del packaging in plastica) non è un problema da sottovalutare: secondo la Commissione Europea, la produzione di rifiuti in area UE è aumentata di oltre il 20% in 10 anni, nonostante i numeri in crescita delle pratiche di riciclo. La “colpa” è soprattutto degli imballaggi monouso. Se nulla cambia, le stime delineano un aumento del 46% dei rifiuti di plastica entro il 2030 e del 31% entro il 2040. 

Con le nuove Direttive, il Legislatore confida in una positiva inversione di tendenza che porterebbe a una riduzione del 37% entro il 2040; equivarrebbe a circa il 15% di rifiuti in meno per ciascun abitante della UE. Utopia o realtà? 

Etichettatura ambientale, le ricadute di mercato.

Il fulcro delle Direttive è una mutata attenzione del consumatore verso le tematiche ambientali: ricerche di mercato dimostrano che i consumatori prediligono prodotti che utilizzano un packaging ecologico e dimostrano una reale sensibilità “green”. Di conseguenza, un’adeguata informazione sull’impatto ecologico del packaging dovrebbe orientare in modo decisivo la scelta di prodotto, arrivando a porsi come una vera e propria valida ragione d’acquisto

Per questo, molte aziende sono già passate a soluzioni di packaging sostenibile, riscuotendo un grande successo di pubblico, soprattutto nel campo della cosmesi. 

Come produttori di tubetti deformabili in alluminio, possiamo solo applaudire ai principi che guidano questa normativa: non tutti sanno infatti che l’alluminio può essere riciclato al 100% e all’infinito, senza perdere le qualità originali, e che il suo processo di riciclo richiede meno energia rispetto alla produzione da materia prima (cosa che non si può dire di tutte le materie plastiche in circolazione!). Avere queste informazioni letteralmente a portata di mano può fare davvero la differenza davanti allo scaffale.

Scegliere i tubetti di alluminio come packaging per i vostri prodotti significa già compiere una reale scelta di sostenibilità a favore dell’ambiente. Con un aspetto di marketing da non sottovalutare: potrete posizionare immediatamente il vostro prodotto nella scala valoriale su cui il grande pubblico si dimostra più sensibile. Ora più che mai, un tubetto in alluminio non è solo una scelta di packaging ma una vera strategia di brand awareness. 

Volete approfondire? Contattateci! Saremo lieti di rispondere a tutte le vostre domande e inviarvi un campione di tubetti. 

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